FISICA APPLICATA

PRINCIPI GENERALI

L'acqua è un elemento fluido, caratterizzato da uno stato particolare: essa è totalmente incomprimibile, e, di conseguenza, assume la forma del recipiente in cui viene introdotta e la sua superficie si dispone sempre in senso perpendicolare alla direzione della forza di gravità. Cio rende l'acqua un elemento completamente diverso dall'aria, con la quale conviviamo abitualmente. Infatti, ci sembra di non compiere nessuno sforzo mentre camminiamo (anche se in realtà non è così), mentre avvertiamo molta più difficoltà quando ci muoviamo nell'acqua; inoltre, non ci è possibile galleggiare nell'aria, mentre riusciamo a farlo nell'acqua. Di più, in acqua possiamo avanzare in posizioni diverse rispetto a quella verticale, e possiamo anche usare l'acqua per spostare pesi, per azionare le ruote di un mulino, per far funzionare macchinari, ecc. Perché questa differenza? Proprio perché l'acqua è "più densa" dell'aria, le sue molecole rimangono più "attaccate", più vicine, non sono libere di spostarsi nel vuoto a loro piacimento, come fanno invece quelle dell'aria. Ecco perché possiamo riempire un secchio d'acqua, perché possiamo raccoglierla con le mani, perché possiamo trasferirla da un recipiente ad un altro, e così via. 

Ciò è dovuto alla particolare struttura delle forze interne agenti sulle particelle che compongono la sostanza. Nei solidi le varie molecole sono sottoposte a forze di coesione molto forti che le tengono imprigionate a formare il reticolo cristallino, offrendo loro scarsissima possibilità di movimento: nei liquidi invece le forze di coesione consentono alle molecole di scivolare ordinatamente le une sulle altre, senza però che possa variare la mutua distanza fra di esse. Nei gas, le forze di coesione sono del tutto assenti. Questa diversa configurazione interna delle sostanze ne determina le differenze morfologiche, cosicché i fluidi possono assumere una forma I qualsiasi che coincide con quella del recipiente in cui sono contenuti, ma il volume complessivo di spazio occupato non può essere né diminuito né aumentato; i gas, invece, oltre a non avere una propria forma definita, riempiono tutto lo spazio in cui vengono liberati, cioè hanno la capacità di espandersi, così come possono essere facilmente compressi. La espansibilità e la comprimibilità sono proprietà tipiche dei gas. L'approccio allo studio dei fluidi può partire da diversi presupposti. Si potrebbe pensare ad esempio di studiare il moto di un fluido considerando il moto di ogni singola particella che Io compone; ciò però comporterebbe un numero elevato di relazioni tra le particelle, per cui questo tipo di approccio (detto lagrangiano) risulta piuttosto complicato.

Un altro modo per studiare i fluidi potrebbe prendere in considerazione non la traiettoria o le proprietà cinernatiche delle singole particelle, bensì lo stato in cui si trova il fluido ad un dato istante ed in una posizione e dunque conoscere lo stato del fluido significa conoscerne alcune caratteristiche, quali il volume, la temperatura, la pressione, ecc. In un fluido, infatti, non abbiamo a che fare con una singola particella: abbiamo un continuo. Non dobbiamo inseguire delle particelle isolate, o magari delle bolle di fluido. Ci conviene piuttosto chiederci: fissato un sistema di riferimento arbitrario, quale sarà in un certo punto dello spazio, identificato dal sistema suddetto, il valore di velocità, accelerazione, proprietà termodinamiche in funzione del tempo? In quel punto, al passare del tempo, il fluido si rinnova continuamente: noi non inseguiremo la singola particella, ma la storia di ciò che avviene in quel punto dello spazio, senza tener conto di quale particella di fluido si trovi lì in quel momento. Questo approccio, che noi seguiremo, è detto di tipo euleriano. Ogni giorno, in tantissime esperienze che viviamo, abbiamo la possibilità di sperimentare un fenomeno al contempo comune e curioso, una forza che ci circonda e cl consente di compiere gesti comunissimi e banali, quali aprire un rubinetto, oppure curiosi e paradossali, quali capovolgere un bicchiere riempito fino all'orlo sul quale è poggiato un foglietto di carta senza pericolo di versarne il contenuto.

Questi fenomeni, così come tanti altri, sono riconducibili alla pressione esercitata dai fluidi che ci circondano. La pressione deriva dal modo particolare in cui le forze agiscono su di un fluido. Si è detto, infatti, che su un liquido o su un gas non si può applicare una forza in un punto, ma è necessario applicarla ad una superficie del fluido stesso. Si definisce quindi pressione il rapporto tra l'intensità della forza applicata e l'area della superficie sulla quale viene applicata. La pressione ci aiuta a capire ed a definire ciò che accade quando una forza esterna viene esercitata sulla superficie di un fluido. Analizziamo ora cosa avviene all'interno di un fluido dove non vengano applicate forze esterne particolari. Le forze a cui è soggetto un fluido contenuto in un recipiente, e l'acqua contenuta in una piscina, sono:

- la forza di gravità

- la resistenza offerta dal fondo e dalle pareti

Essendoci utile nel caso particolare dello studio di hirobyke, dobbiamo fermarci un attimo considerare il concetto di resistenza: il fatto che la densità di un elemento sia diversa da quella di un altro, fa si che alcuni elementi possano resistere alla spinta esercitata dalla forza peso di altri. Ad esempio, un palloncino trattiene l'aria, una sedia trattiene un corpo umano, il pavimento non ci fa sprofondare, la piscina trattiene l'acqua. In fisica questo concetto si esprime sotto forma di forza Nella nostra trattazione la considereremo quasi sempre come forza che si oppone alla gravità ed allo spostamento. Nel caso dell'opposizione alla gravità avrà la stessa direzione ma verso opposto, cosi come nel caso dell'opposizione al movimento, in cui andranno considerate anche direzioni oblique. Analizziamo quindi cosa succede ad un fluido considerandone una piccola parte, per comodità immaginiamo un cubo con il lato di un centimetro, posizionata al centro di un contenitore pieno d'acqua.

Quando il fluido è in equilibrio, cioè non è in moto (immaginiamo una piscina con i filtri fermi e l'acqua completamente immobile), questo cubetto subirà:

- l'attrazione della forza di gravità verso il fondo del recipiente in misura proporzionale alla propria massa

- il peso del fluido soprastante

- la resistenza del fondo che viene trasferita al fluido sottostante (poiché e moomprimibile)

- la resistenza delle pareti trasferita al fluido che si trova ai lati

Questo concetto si esprime in fisica introducendo il concetto di pressione: in questo caso particolare si dice che la risultante della pressione esercitata sul cubetto è nulla, poichè tutte queste forze si equilibrano; lo dimostra il fatto che il cubetto di fluido non si muove (altrimenti l'acqua della piscina sarebbe sempre in movimento continuo anche quando non c'è niente che la muove). Se il cubetto si muove verso il fondo vuol dire invece che la pressione soprastante è maggiore di quella sottostante e viceversa. Praticamente, il concetto di pressione sostituisce con un unico termine la complessità delle forze che agiscono su una unità di fluido.

Possiamo ora introdurre il concetto di spinta idrostatica: se immaginiamo di sostituire ad una porzione di fluido un corpo diverso, la pressione che esso riceverà sarà la stessa che riceveva la porzione di fluido che abbiamo spostato. Quindi, oltre al proprio peso il corpo sarà soggetto alla spinta idrostatica del fluido, in misura pari a quella che bilanciava il peso del fluido spostato. Ciò viene enunciato dal Principio di Archimede che recita: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del fluido spostato (e quindi, considerando un fluido omogeneo come l'acqua, proporzionale al volume del fluido spostato). Se il peso del corpo è maggiore della spinta idrostatica il corpo affonderà, se è minore galleggerà. Per pareggiare un peso considerevole sarà quindi necessario distribuirlo su un volume maggiore.img1

Un corpo umano, che non è omogeneo, di solito ruota portando le gambe verso il fondo e trova poi un punto ed una posizione di galleggiamento diversa da persona a persona. Sicuramente, per un corpo umano si verifica sempre la situazione in cui la spinta idrostatica bilancia quasi totalmente la forza di gravità, pur manifestandosi differenze notevoli tra quanto riguarda il busto (nel quale si trovano i polmoni, un notevole volume molto leggero) e le gambe, molto più pesanti. Va tenuto presente che ciò vale sempre e solamente per la parte immersa del corpo. La parte emersa non riceve nessuna spinta idrostatica ed il suo peso grava sul punto d'appoggio. Questo è un concetto molto importante quando si parla di attività sportiva in piscina. Infatti, i misura via via crescente l'altezza del livello della vasca riveste importanza parlando di nuoto, acquagym e di hidrobyke. Nel nuoto, poiché la posizione è orizzontale rispetto al livello dell'acqua, l'altezza della vasca influisce solamente per fattori riguardanti l'attrito e la resiste dell'acqua; nell'acquagym, il fatto di lavorare in acqua alta od in acqua bassa cambia totalme il tipo di lavoro eseguito; per quanto riguarda hidrobyke, il peso che grava sulle pedivelle, scaricato soltanto in parte sulla sella, si fa sentire in maniera molto diversa a seconda della porzione del corpo immersa.

Dobbiamo introdurre ora un concetto veramente FONDAMENTALE, che è il concetto di attrito resistenza. A livello intuitivo è un concetto noto a chiunque abbia avuto a che fare con l'acqua, e quindi a tutti voi. E' però importante esaminarlo con attenzione, perché è alla resistenza dell'acqua che dobbiamo il fatto di galleggiare, di muoverci, ed è alla resistenza dell'acqua che dobbiamo la fatica che ci costa farlo. Come abbiamo visto, l'acqua è un elemento più denso e più viscoso dell'aria. Il fatto che le si" molecole di cui è composta stentino a discostarsi l'una dall'altra fa si che l'insieme risulti piuttosto compatto e che quindi non sia molto facile per un corpo estraneo "farsi spazio". D'altra parte, proprio la naturale densità dell'acqua permette quando si nuota di "agganciare" una porzione di fluido con la mano e di utilizzarla come punto fermo dal quale spingere in avanti il resto del corpo. In conclusione. muoversi dentro l'acqua costa fatica. La formula che più semplicemente esprime tale fatica è: F= cSr V2 /2 

Dove F è la resistenza che oppone l'acqua, c è un coefficiente che dipende dal tipo di fluido, S la proiezione della superficie del corpo sul piano frontale, r è un coefficiente che varia con la forma del corpo, v è la velocità del corpo dentro il fluido. Un tipo di attrito di questo tipo si può definire attrito esterno, poiché riguarda ciò che accade a un corpo estraneo immerso nel fluido. Un altro tipo di attrito, tipico dei fluidi e dovuto alla loro viscosità, è l'attrito interno

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Esaminando la figura, osserviamo che il liquido bagna la lastra ed aderisce alla lastra stessa così che il primo strato di liquido, a contatto con la lastra, si muove anch'esso con una certa velocità. Ogni strato di liquido trascina presso di sé, con velocità minore, quello sottostante. I vari starti di liquido vengono effettivamente posti in moto dal movimento della lastra proprio perché non scorrono perfettamente gli uni sugli altri. Questa non scorrevolezza o viscosità del liquidi reali si chiama attrito interno.

Una diretta conseguenza dell'attrito interno è quella relativa al tipo di moto di un fluido: esso può essere laminare o turbolento. In un tubo dritto, in cui scorra dell'acqua, tingiamo un filetto fluido con una soluzione colorata: Nel moto laminare, il filetto si deve conservare rettilineo ed inalterato durante il moto. Aumentiamo, gradualmente, la velocità con cui l'acqua scorre nel tubo. Il moto cessa di essere laminare e diventa turbolento (o vorticoso). Nel moto laminare i filetti fluidi seguono più o meno l'andamento del tubo e,se si considera una particella di fluido, questa descrive una traiettoria che si snoda lungo il tubo senza chiudersi mai su se stessa. Nel moto turbolento i filetti fluidi si chiudono su se stessi ad anello, formando i cosiddetti vortici. Considerando una fera che si muove dentro l'acqua (oppure che sta ferma al centro di un flusso), possiamo verificare che i filetti di fluido a contatto con la sfera vengono rallentati poiché si "attaccano" al solido e rallentano a loro volta i filetti di fluido a contatto con loro, costringendoli a cambiare direzione, creando la scia.

 PRINCIPI GENERALI

img3Le particelle di fluido che urtano contro l'ostacolo ri cambiano direzione, e non riescono a richiudersi subito dietro ad esso. In questo punto si viene a creare quindi una situazione in cui la densità di particelle davanti all'ostacolo è maggiore di quella esistente dietro ad esso. Tale situazione vorticosa presenta allora una pressione minore rispetto a quella del moto laminare, quindi una minore resistenza. L'entità del vortice si misura con un coefficiente, detto Of numero di Reynolds (NR). Il punto di transizione tra moto laminare e moto turbolento dipende moltissimo dalle condizioni dell'esperienza; se il tubo è molto liscio, se si evitano scosse, vibrazioni, ecc, si può mantenere il regime laminare per velocità così elevate da raggiungere un valore del numero di Reynolds di circa 10.000, ma si è in condizioni così instabili che basta una scossa per passare al regime turbolento. Al contrario, se R è inferiore ad un valore critico di circa 2.000 il passaggio non ha luogo e anche se si crea un vortice in un punto del tubo esso sparisce quasi subito.

Per la relatività dei movimenti, evidentemente, questo problema è identico a quello del moto di un fluido intorno ad un ostacolo fisso, oppure alla situazione che si crea quando un corpo si muove all'interno di un fluido. Come detto, il moto vorticoso è caratterizzato da una pressione minore rispetto a quello laminare. Muoversi nella direzione di un moto vorticoso risulterà quindi meno faticoso (nuoto in scia mentre muoversi in direzione contraria richiederà una fatica maggiore (nuoto controcorrento).

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L'ATTREZZO

Da ciò che abbiamo detto, risulta chiaro che se vogliamo diminuire la fatica del muoverci in acqua dobbiamo cercare di ridurre il valore dei coefficienti che compaiono nella formula: ciò vale mentre nuotiamo, ad esempio, perché meno fatica facciamo ad avanzare più forza abbiamo da usare per andare veloci. Ma quando vogliamo allenare i muscoli con la ginnastica in acqua,ciò che ci serve è il contrario: dobbiamo cercare di aumentare la resistenza, per poter compiere uno sforzo maggiore. La stessa cosa facciamo quando ci alleniamo con i pesi: creiamo una resistenza che ci costringa a fare fatica per poterla vincere. Nel caso di acquabike. noi cerchiamo un meccanismo che crei una resistenza utilizzando l'acqua o non semplicemente impermeabilizzando il classico meccanismo che produce il movimento delle ruote. Vediamo come.

L'importanza della forma:

La forma dei delle resistenze collegate ai raggi del meccanismo di acquabike ( i "barattoli") rispondono alla esigenza di creare una resistenza nel modo migliore possibile. La loro forma, infatti, offre una resistenza maggiore rispetto a quella di un semplice disco, come si vede studiando i coefficienti di resistenza in relazione alle forme degli oggetti riportati nella tabella allegata, anche se una forma identica non è riportata e la si può assimilare a quella di un emisfero cavo. Nella formula abbiamo agito sui coefficienti S ed r, considerando che  c è costante. 

Il trasporto dell'acqua:

La forma a barattolo, oltre a possedere un favorevole coefficiente d'attrito, anche il notevole vantaggio di caricarsi d'acqua e di trasportarla durante il moto. Ciò avrà scarsa rilevanza quando il barattolo compie il tratto di percorso a favore della forza di gravità, e darà il massimo del contributo qua il barattolo risale in direzione contraria a quella della forza peso. Si è sperimentato che questo effetto aume logicamente, con l'aumentare delle dimensioni dei barattoli. •

La leva:

Il meccanismo che muove i barattoli può essere assimilato ad una leva di ter genere, nel quale il fulcro si trova ad un estremo, dalla parte della potenza, opposto alla resistenza. Tale leva é tanto più sfavorevole (ricordiamoci che dobbiamo fare fatica!) qua r più i barattoli sono lontani dal fulcro, cioè il braccio della resistenza è lungo Questo tipo di leva è lo stesso. esempio, della bracciata a stile libero

La turbolenza:

Mentre il meccanismo si muove, si crea una scia dietro ad ogni barattolo, che potrebbe creare problemi se incontrasse il barattolo successivo, poiché creerebbe una depressione che diminuirebbe la resistenza. Poiché i contenitori si muovono lungo una traiettoria circolare, il barattolo che segue non intercetta la scia di quello che lo precede. Ciò influenza il numero di raggi del meccanismo, poiché raggi troppo ravvicinati causerebbero l'intercettamento delle traiettorie ed il disturbo della scia di turbolenza. Per lo stesso motivo, si é sperimentalmente verificato che variare la posizione dei barattoli in modo asimmetrico diminuisce la resistenza. Questa potrebbe essere inoltre un'altra ragione, oltre alla leva, per la quale contenitori su bracci corti offrono meno resistenza: per quanto esterna sia la scia dovuta ai barattoli, esiste anche, seppur minima, quella dovuta alle sbarrette d'acciaio alle quali essi sono fissati. Ponendo i recipienti vicini al meccanismo centrale, la scia delle sbarrette possono infatti influenzare la corrente.

La velocità:

Altro coefficiente importante che compare nella formula è la velocità. La velocità a cui si muove l'oggetto varia la resistenza offerta in maniera proporzionale al proprio valore elevato al quadrato; ciò significa che una velocità raddoppiata quadruplica la resistenza. e così via. L'esempio più classico e calzante di questa situazione è la sensazione che si avverte mettendo un braccio fuori dal finestrino di una automobile in corsa e osservando come varia la resistenza dell'aria sulla mano in funzione della velocità dell'auto. Immaginatevi la stessa situazione riportata in acqua! Nel caso di acquabike si è sperimentalmente rilevato un andamento direttamente proporzionale dello sforzo in funzione della velocità, e non quadratico. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la realtà dell'oggetto non è composta solo dai recipienti, ma dal telaio della bicicletta, dalle gambe che si muovono, ecc. Studiare a fondo l'insieme della situazione fisica in esame sarebbe si possibile, ma forse non del tutto necessario. Limitiamoci quindi a prendere atto del fatto che esiste una netta situazione di diretta proporzionalità tra la velocità del meccanismo e la resistenza, e quindi, la fatica.

CONCLUSIONI

Da quanto esposto finora appare chiaro che il fatto di utilizzare l'acqua come motore di un meccanismo porta a situazioni diverse rispetto a quelle che si verificano sulla terra.

Riassumendo, possiamo tenere conto dei seguenti fattori principali:

1) L'aumento della resistenza è proporzionale alla velocità, al contrario di quello che accade con lo "spinning", quindi la lezione va strutturata in maniera praticamente opposta rispetto a quella terrestre. La parte più intensa e muscolarmente più impegnativa sarà infatti quella più veloce e viceversa.

2) La forza di gravità a cui è soggetto il nostro corpo viene in buona parte controbilanciata dalla spinta idrostatic Ciò è affermabile per certo per quanto riguarda la parte immersa del corpo, cioè le gambe nel caso di hidrobyke. L'appoggio sulla sella può essere più o meno "pesante", invece, a seconda dell'altezza del livello dell'acqua. Inoltre, non tutto il peso del corpo viene scaricato sulla sella e quindi l'altezza dell'acqua della vasca incide mal sull'intensità dello sforzo necessario a muovere i pedali. Più peso grava su di essi, infatti, più fatica si fa a compie il movimento circolare necessario a muoverli.

3) La situazione di scarico della gravità sulle gambe non comporta, nel nostro caso, un lavoro simultaneo dei muscoli agonisti ed antagonisti, come avviene nel caso di un movimento libero della gamba in acqua. Infatti, poiché la pedalata è un completo ciclo attivo, per vincere la resistenza offerta dal meccanismo verranno coinvolti si tutti i muscoli, ma in modo diverso a seconda dell'angolo che si forma tra I vari segmenti della gamba stessa.

4) Si è sperimentalmente verificato che una singola hidrobyke non produce moto vorticoso d'acqua nelle proprie vicinanze. Ciò consente di svolgere una lezione con una certa "densità" di attrezzi senza correre il rischio, che si verifica invece spesso durante una lezione di acquagym, che la turbolenza eccessiva diminuisca la resistenza e renda meno efficace l'attività.

5) Aldilà dell'attrezzo in sé. durante una lezione di hidrobyke valgono le regole proprie della ginnastica In acqua: li resistenza del mezzo fa si che il solo movimento delle gambe, anche senza la resistenza dei recipienti, provochi unf certo sforzo. Il massaggio dato dall'acqua sulle gambe ha sicuramente una funzione benefica e la conduzione termica dell'acqua, circa 25 volte superiore a quella dell'aria, fa sì che la sensazione di affaticamento sia meno avvertita e l'acido lattico prodotto sia smaltito più velocemente